incesto
Nato troia - 3 - Luna di miele al mare
di corsaro200
08.10.2024 |
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"Tuo padre ha ricordato che nel capanno, da ragazzi, il fratello ha cercato di metterlo a culo nudo..."
ContinuaRiassunto puntate precedenti
Troia, è il nome che si è dato, venne scoperto a fare pompini nei cessi della scuola. Travestito da donna dai coetanei passò a spompinare un vicino più grande, scoperto sul fatto, senza essere riconosciuto, si trovò a succhiare il cazzo di un uomo sposato, che era il fratello di suo padre.
Con l’espediente di fare il padrone e non lo zio del ragazzo, l’uomo lo fece schiavo, sottraendolo ad approfittatori che avrebbero infangato l’onore della famiglia. Rimandando la decisione di rivelare a suo fratello che il figlio era un pompinaro incallito, sodisfò le voglie superando i sensi di colpa e la lealtà parentale. Ma poi anche il padre si trovò comunque coinvolto.
In presenza di familiari e conoscenti quel giorno rispettammo i ruoli ma quando si fece notte mio padre venne a cercarmi nella mia stanza e mi svegliò con un bacio sulla bocca che io, come in trans, inseguendo un sogno, aprii per accogliere la sua lingua. Fu il primo bacio e ci consacrò amanti.
Il sesso lo avevo fin ora trovato nel cazzo dei miei compagni di scuola, del mio vicino Lorenzo, di mio zio. Con mio padre invece lo scoprii in quel bacio, nel suo corpo accanto al mio, sopra di me, sotto di me, da per tutto, come un fluido in cui mi sentii immerso. Anche il mio pene reagì diventando duro come il suo, eravamo pari, io lo toccavo e lui mi toccava. Lui è stato il primo a prendermelo in bocca, con lui ho fatto il primo sessantanove e quando appagati ce ne stemmo al buio l’uno accanto all’altro mi invitò ad aprirmi a dirgli di me.
- Sei molto bravo amore mio, si capisce che hai fatto esperienze, con chi? Per me, lo avrai capito, è stata la prima volta.
- Mi stai chiedendo papà di dirti di me. Zio Mario mi conosce. Tu cosa sai?
- È vero, Mario ti conosce più di quanto ti conosco io, e questo mi fa soffrire. Il mio lavoro mi ha preso troppo e sono stato io ad affidarti a lui. Se fossi stato più presente nella tua vita sarebbe avvenuto tutto questo?
- Può darsi anche di no, papà, e sarebbe meglio?
- Io ora so che ti amo come un padre non dovrebbe amare un figlio. E voglio amarti per come sei e non per come vorrei che tu fossi. Se anche ti volessi diverso non saprei come, ma non ti voglio diverso da quello che sei, voglio solo conoscerti.
- Da dove vuoi che comincio? Dall’inizio? Da quando avevo otto anni e facevo pompini ai miei compagni di scuola? Questo lo sai già. Ti confesso che ti ho sempre spiato per cercare di vederti il cazzo, quando stavi in bagno, quando ti spogliavi o quando ti capitava di pisciare all’aria aperto. Con zio Mario succedeva, ma lui sai come è, in mezzo ai suoi animali è un po’ animale anche lui e piscia dove e quando gli pare.
Sapessi quante volte ho cercato di toccarti il pacco con qualunque parte del mio corpo, qualche volta ci sono anche riuscito.
- E io me ne accorgevo, figlio mio, ma credevo fosse una cosa casuale. Mi vergognavo di me stesso perché i tuoi toccamenti mi turbavano e cercavo di evitarli.
- Ora capisco le volte che, cercando di infilarmi tra le tue gambe, mi allontanavi. Se era presente zio Mario andavo da lui che invece sorridendomi allargava le gambe, era l’invito che avrei voluto da te, ma tu mi evitavi.
- Mario ha preso il mio posto.
- Non è così papà, lui ha un suo posto e tu hai il tuo, secondo i ruoli e i desideri. Sei stato tu ad affidarmi a lui.
- E fino dove è arrivato.
- Quando mi ha scoperto a fare pompini, ha cacciato chi avrebbe potuto svergognarmi dicendolo in giro e ne ha preso il posto, non poteva fare altro, io sono così. Poi domenica scorsa al mare e ieri nel capanno ha voluto coinvolgerti, farti partecipare e ci è riuscito, tanto è che ora siamo qui.
- Quando ha provato a toglierti il costume, fissandomi negli occhi, era un messaggio a me da un passato in cui al posto tuo c’ero io, e non al mare ma nel capanno, quello dove ci ha coinvolti in quell’abbraccio con una mano sul tuo culo e l’altra sul mio. La mia reazione devi averla sentita sulla tua pancia.
- Ora so che quello avanti eri tu e lui dietro. Il buio non mi aveva permesso di capire le posizioni.
- E ora figlio mio?
- Papà c’è una parte di me, la più importante, che è ancora intatta, prenditela, comincia a pesarmi questa verginità che zio Mario ancora non si è preso, e non lo ha ancora fatto perché gli ho detto che sono vergine.
Se tu ora volessi incolparlo di qualcosa potrebbe dirti senza mentire che non si è preso niente di me che non avessi già dato ad altri.
Papà scappiamo, io e te, come due amanti, andiamo al mare.
- E tua madre?
- Le diremo la verità, che io e te vogliamo stare un po’ da soli.
A questo punto il mio narratore mi interrompe e chiede.
- Stai sorvolando su una cosa molto importante, far capire bene il rapporto tra i due fratelli, non nel presente, ma quello che c’è stato in un lontano passato. Tuo padre ha ricordato che nel capanno, da ragazzi, il fratello ha cercato di metterlo a culo nudo. C’è altro che non ci ha detto?
- Sì, ma non lo seppi allora e non voglio anticipare le cose, lasciami invece continuare col dire che al mattino, facendo colazione, mio padre, che era in ferie, disse a mia madre che voleva andare al mare con me in moto e che nel caso ci saremmo anche fermati a dormire.
Lei ne fu felice e ci preparò dei panini per un pic-nic, poco dopo con il minimo indispensabile per una giornata al mare e una notte in albergo, partimmo.
Una volta in sella mi incollai a lui con le mani sul suo cazzo e per strada gliene infilai una nella tasca dei pantaloni per avere un contatto più diretto. Per buona parte del viaggio gli feci sentire la durezza del mio cazzo dietro le sue natiche. Quando per strada ci fermavamo per qualche ragione, una pisciatina o solo per sgranchirci le gambe, sceglievamo posti isolati per poterci abbracciare e baciare. In uno ci fermammo a fare merenda e anche un sessantanove. Arrivati al mare andammo in una pensione e prenotammo per una notte. La locataria prima di assegnarci il numero della stanza ci disse, quasi a scusarsi, che aveva solo camere matrimoniali, senza sapere che era quello che avremmo chiesto.
In spiaggia fu bellissimo, anche se c’era gente, in acqua e sulla sabbia giocammo a fare la lotta. Era un modo per poterci toccare e giocammo anche a cercare di toglierci il costume. I nostri teli li avevamo messi vicini, vicini e quando eravamo sdraiati stavamo sempre a contatto con una parte del corpo. Stando a pancia sotto gli infilai la mano nel costume e gli presi il pisello col rischio che avrebbero potuto vederci, per un poco lo fece anche lui a me. Ma il mio pensiero era rivolto alla notte che avremmo passato nello stesso letto, vissi quel giorno come il giorno delle nozze tra me e mio padre, ero felice di potergli donare la mia verginità.
La cena la facemmo alla pensione. Mio padre ordinò un litro di vino, cominciò a berlo e gli andò subito alla testa tanto che ne versò anche nel mio bicchiere dicendo che male non mi avrebbe fatto ma quando poi si accorse che ne stavo bevendo esageratamente si affrettò a finirlo tutto lui e ce ne andammo in camera nostra entrambi un po’ brilli.
Io cominciai a straparlare e a ridere e anche lui ridendo mi teneva la mano davanti alla bocca cercando di impedirmi di dire tutto quello che il mio cuore e la mia testa brilla mi diceva di dire, parole che non si dicono tra padre e figlio ma tra amanti.
- Papi, papi, abbracciami, fammi tuo.
- Zitto che ci sentono.
- E che mi importa, sono felice, amo mio padre e lo voglio dentro di me.
Papà voglio essere tuo, peccato che il culo non dà la prova della verginità, se così fosse potremmo portarla a zio Mario.
Sentire quel nome ebbe per mio padre l’effetto del più potente afrodisiaco e, alzato il volume del televisore, mi prese di peso, mi buttò sul letto e mi tolse tutti i vestiti che avevo addosso. Poi saziatosi di ammirare il mio fisico adolescenziale si spogliò lui pure. Io stavo di schiena sul letto e lui, in ginocchio tra le mie gambe, cominciò a riempirmi di baci, baci umidi, la sua lingua mi leccava dovunque. Si posava sui capezzoli, sotto le ascelle dove mi erano cresciuti i peli. Poi scese più giù, me lo prese in bocca e se la riempì con i miei coglioni. Ma il suo traguardo era un altro ed era a pochissimi centimetri. Stando sempre in ginocchio, nella stessa posizione mi prese le gambe alle caviglie e le piegò verso di me facendomi inarcare la schiena. In quella posizione la cosa più in alto del mio corpo era il mio buco del culo e lì ficcò la lingua. Se la posizione innaturale e scomoda mi aveva fatto contrarre i muscoli, quel contatto mi fece sciogliere e il mio sfintere si allargò con naturalezza, pronto e consapevole di quello che stava per succedere.
Ma mio padre continuò a lubrificare, insalivare facendomi uscire di bocca mugolii di piacere a cui nel prolungarsi dell’attesa si aggiunsero parole di stimolo.
- Dai papà, sono pronto, entrami dentro, lo voglio, ti voglio, non resisto più, sverginami.
- Allora stringi il cuscino tra i denti. Entrerò con una botta sola e in fondo mi fermerò fino a che il dolore non diminuisce, non ti consentirò di farlo uscire.
Non aveva finito di dire queste parole e mi sentii aprire le viscere. Non sapevo che comando dare al mio sfintere, se pure mi avrebbe obbedito. Il mio muscolo anale per istinto si strinse cercando di espellere ciò che avevo tanto desiderato. Inutili le raccomandazioni di mio padre.
- Non stringere amore mio, ti fa solo più male, allenta i muscoli, non mi muovo. Perdonami non c’era altro modo, il colpo secco e poi l’assoluta immobilità.
Quando riuscii con la volontà e il desiderio a rilassarmi e provare a fare piccoli movimenti, sentii che il dolore stava diminuendo e subentrava il piacere. Il passaggio dal dolore al piacere mi predispose così tanto alla penetrazione che il mio sverginatore potette darci dentro senza ricevere da parte mia alcuna resistenza. L’elasticità del mio muscolo anale risultò una mia dote di cui mi servii in seguito e mi permette di ricevere calibri molto grossi. Quanto durò la mia prima inculata non saprei dirlo, so però che si concluse nella stessa posizione in cui era cominciata, senza variazioni, quelle vennero sperimentate in seguito, prediligendo comunque quelle in cui posso vedere in faccia chi mi incula.
Appagati e ripuliti ci sdraiammo sul letto vicini, vicini a guardare la televisione e, dopo averne abbassato il volume, mio padre accese il cellulare. Immediata l’emissione di segnali per la presenza di messaggi o chiamate perse provenienti tutte da una sola persona, mio zio Mario. Le parole scritte erano “dove siete”, “che state facendo”, “badate a quello che fate”, “non mi farò mettere da parte”, “tornate subito o sono guai per tutti”. Allora accesi anche il mio cellulare, vi trovai le stesse frasi e un messaggio di mia madre che chiedeva notizie.
In accordo con papà la chiamai, le raccontai che i cellulari erano spenti perché in carica, che avevamo trascorso una giornata bellissima, che stavamo in una pensione e che l’indomani tardo pomeriggio saremmo tornati. Prima di chiudere la telefonata mia madre mi disse che era venuto a casa zio Mario a chiedere di noi e si era indispettito quando aveva saputo che eravamo andati al mare con la moto.
Delle parole di mio zio era rimasta eco nei nostri pensieri, ma dissi a mio padre di fare come Rossella O’Hara in “via col vento” e rimandammo tutto a domani.
Quella fu la prima notte in vita mia che mi trovai a letto con un’altra persona, padre e amante. Al momento di dormire mi avvicinai a lui nella posizione a cucchiaio e, senza alcun’intenzione, capitò che unendo le gambe i miei attributi sessuali, cazzo e palle restarono stretti in mezzo così che quando mio padre mi circondò con le sue braccia e arrivò con una mano all’inguine, non trovò niente e disse.
- To! Pensavo di aver fatto un figlio maschio, invece non trovo niente, neanche la micetta
Con quelle parole in testa gli chiesi.
- Ti piacerei di più se fossi femmina?
- Che dire, tra i tanti sacrilegi che sto commettendo, ce ne sarebbe uno in meno.
Al mattino col cazzo duro mio padre era di nuovo pronto a fare l’amore e intenzionalmente mi avvicinai a lui con le gambe strette, senza che si vedessero i miei attributi, e gli sussurrai.
- Stamattina ti offro la mia micetta è ancora intatta.
- Si porcellina ora ce lo ficco dentro e te la allargo.
Il gioco andò avanti così per un poco poi mi abbassai su di lui, glielo presi in bocca e lo lavorai come avevo imparato a fare col mio zio padrone e quando mi sborrò in bocca lo ingoiai, la troia che ero stava riprendeva in me il sopravvento.
Stare al mare, avere una camera a disposizione era troppo bello, non volevo finisse così presto e così chiesi a mio padre di restare un altro giorno.
- Hai dimenticato le parole di tuo zio?
- No, ma non è qui, siamo noi a decidere e possiamo anche rimanere, avvisando mamma ovviamente.
Non mi rispose ma quando scendemmo a fare colazione chiese alla padrona se potevamo restare un altro giorno e la risposta fu sì.
Il secondo giorno al mare fu diverso dal primo, eravamo pieni uno dell’altro, l’amore si manifestava nei nostri sguardi e se stando in mezzo agli altri bagnanti non ci potevamo toccare, con parole alludenti a quello che era successo, ci tenevamo eccitati e pronti a ricominciare. Tornammo in pensione per il pranzo e dopo ce ne andammo in camera per il riposino pomeridiano. A muoversi nudi nella stanza o stare sdraiati sul letto era già un godimento, faceva superare a mio padre il senso del pudore e lo stava portando a considerare non più sacrilegio scopare suo figlio perché un peccato, qualunque sia, turba la coscienza la prima volta che lo si commette, dopo diventa un abitudine e per tranquillizzarlo ancora di più dissi.
- Dobbiamo usare altri nomi o vezzi, padre e figlio non sono confacenti a quello che facciamo.
- Sai che non hai torto?
- È stato zio Mario a ordinarmi di non chiamarlo più zio.
- E come vuole farsi chiamare?
- Padrone, devo chiamarlo padrone.
- E lui? Lui come ti chiama.
- Mi chiama “Troia”
- E a te piace?
- Sì, perché è quello che sento di essere e ti chiedo di chiamarmi “Troia” anche tu.
- E il mio nome?
- Pensiamoci un po’.
Non ero abituato al fare garbato e educato di mio padre ma a quello rude e violento di mio zio e, troia quale ero, lo preferivo.
Mi piacevano comunque tanto le variazioni che erano consentite nel prenderlo in culo e simulando di avere anche una micetta a cui mio padre sembrava parecchio interessato, quel pomeriggio prima di tornare in spiaggia e la notte sperimentammo tutte le posizioni del Kamasutra.
Appagato di sesso la mattina del terzo giorno, quello del nostro ritorno a casa, prima di colazione mio padre uscì a comprare il giornale e del pesce da cucinare la sera a casa. Quando tornò facemmo colazione, io avevo già messo nella borsa le nostre cose e andammo in spiaggia. Dopo aver fatto il bagno ci sdraiammo sui teli, lui per leggere il giornale e io a fare qualcosa per conto mio.
Per un po’ sonnecchiai poi iniziai a guardare gli altri maschi in costume da bagno che stavano in spiaggia. Alcuni, dai bozzi che avevano, dovevano essere ben corazzati e me li immaginai nudi col cazzo dritto che si avvicinavano a me messo a quattro zampe, ovviamente senza costume. Ne contai con l’immaginazione almeno cinque in piedi frontalmente al mio culo che si masturbavano mentre io mi esercitavo ad allargarlo e stringerlo.
Erano tutti e cinque a meno di un metro dai miei piedi e, girando la testa indietro, feci un cenno ad uno di loro, allargai il buco del culo e lo lasciai in quella posizione, senza stringerlo. Quello si avvicinò mettendosi in mezzo alle mie gambe, si inginocchiò, mi sputò due o tre volte sul culo, poggiò la punta del cazzo al mio buco e spinse. Con pochi colpi che mi arrivarono fino in fondo, ringhiando sborrò. Allora spinsi fuori dal culo il suo cazzo ammosciato e gli feci cenno di togliersi dai piedi nel vero senso della parola. Poi puntai un altro che avanzò di quei due passo e si inginocchiò tra le mie gambe. Per lui non fu neanche necessaria la lubrificazione, puntò, infilò e sborrò. Dopo il secondo non scelsi più, lasciai decidere loro ed erano così eccitati che infilare e sborrare fu un tutt’uno. La scelta del primo l’avevo fatta in base alla misura del cazzo, era più piccolo degli altri.
Ancora pieno di queste fantasie all’ora giusta tornammo alla pensione. Potemmo utilizzare un bagno di servizio dove ci chiudemmo per farci la doccia e fu in quella occasione che per la prima volta gli dissi:
- Micione scopa la tua micetta troia che oggi quando tu leggevi il giornale ne ha preso cinque in fila.
La luna di miele durata tre giorni era finita.
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